Cambio di regime

Storicamente, una strategia di investimento è sempre stata composta da due elementi. Il primo finalizzato ad offrire uno zoccolo duro, un cuscinetto di sicurezza, un mattoncino su cui contare nei momenti in cui il secondo elemento fa le bizze; il secondo, appunto, molto più frizzante e ballerino, ma che sul lungo periodo paga di più. Anche in via intuitiva per i non addetti ai lavori, il primo elemento è da sempre rappresentato dalle obbligazioni, che in funzione del livello di rischio creditizio ad esse associato sono grado di offrire un rendimento (quasi) certo, se portate a scadenza. Il secondo dalle azioni, e per i più aperti ai mercati internazionali altri fattori di rischio come materie prime, valute, strumenti alternativi.

Ma, come sappiamo, le obbligazioni negli ultimi anni non sono più riuscite a svolgere lo storico ruolo di difensori del portafoglio. Con i rendimenti obbligazionari eccezionalmente compressi e portati persino in negativo dalle azioni delle banche centrali, in particolare nell’area euro, chi avesse acquistato bond negli ultimi anni avrebbe incassato un rendimento vicino allo zero; a fronte però di rischi molto alti, di deprezzamento nel momento in cui i tassi di mercato fossero tornati a salire. Come sempre, è più importante come si concretizza una determinata dinamica piuttosto che quando. E in questo caso la cosa è stata gestita molto male, sulla scia dell’inflazione fuori controllo che ha obbligato le banche centrali ad un intervento eccezionalmente rapido e intenso come magnitudo.

L’impennata dei rendimenti obbligazionari, alimentata tanto dall’inflazione galoppante che dall’uscita dal QE, si è scaraventata sui prezzi delle obbligazioni a tasso fisso già emesse in passato, che nel giro di un anno sono arrivate a perde anche il 30% di valore. Bond venduti, a suo tempo, come sicuri, ad esempio emessi dal governo tedesco o statunitense. L’errore, quindi, per alcuni investitori è riassumibile nel tenere in portafoglio (e persino di comprare, in alcuni casi) bond con redditività nulla e rischi di deprezzamento enorme: meglio tenerli in liquidità o parcheggiati su strumenti a tasso variabile. Ma oggi le cose sono cambiate, e chi ha avuto la lungimiranza di evitare le trappole prima descritte può inserire ora obbligazioni in portafoglio con la consueta finalità: avere uno zoccolo duro i termini di rendimento, in grado di bilanciare la volatilità dell’asset class azionaria.

La fotografia che si scatta è allettante, anche se meno di solo un mese fa. Quando il Btp a 10 anni rendeva quasi il 5%, mentre oggi ci si deve accontentare del 3,9% annuo lordo; molto, molto meglio dello 0,5% dell’agosto 2021. Ma al di là del saliscendi odierno di prezzi e rendimenti, i bond possono finalmente tornare ad essere inseriti nei portafogli, con la vecchia logica. Dare rendimento a basso rischio ed offrire decorrelazione dalle componenti volatili. Decidere con quale percentuale, rispetto alle azioni, dipende dal livello di rischio desiderato e dall’orizzonte temporale, il pane quotidiano per i consulenti finanziari. I basket bilanciati torneranno a lavorare bene, come un tempo.

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