La Svizzera che non delude

L’alea quasi mistica dei risparmi portati in Svizzera è scomparsa da anni, precisamente da un decennio, dopo la disclosure in merito ai nominativi associati ai conti esteri, un tempo secretati, e l’applicazione dei differenti scudi fiscali per riportare denari in Italia. Ma questo non significa che un gettone sugli investimenti svizzeri non debba essere messo, soprattutto attraverso strumenti quotati e trasparenti. Diversi sono tuttora i benefici associati ad un posizione di portafoglio allocata su asset elvetici, soprattutto in valuta locale ovvero nel rinomato franco svizzero. Un elemento che potrebbe lasciar pensare è la non appartenenza della Svizzera all’Unione Europea, dove le relazioni proseguono per via di accordi bilaterali sui diversi temi di interesse. Ma la Svizzera si trova geograficamente al cuore dell’Europa e ne è perfettamente integrata, offrendo finanziariamente elementi di interesse.

Che non hanno certo a che fare con il contesto obbligazionario, in quanto se sul Bund tedesco chi parcheggia risparmi con orizzonte temporale di 10 anni deve sopportare una perdita annua dello 0,3% circa, la situazione è analoga per i bond di Stato elvetici. Che evidenzia –0,31% annuo di rendimento (si fa per dire, meglio chiamarlo perdita certa). In questo caso però si ha l’esposizione in franchi svizzeri, che potrebbe tramutare la perdita in valuta locale in un modesto guadagno, in euro, se il franco negli anni si apprezzasse rispetto alla divisa comunitaria. Un fattore potenzialmente a sostegno, soprattutto in contesti di mercato critici, è infatti la denominazione dei titoli elvetici (sia azionari che obbligazionari) in franchi, che storicamente funge da bene rifugio. Durante crisi del Covid-19 del febbraio-marzo 2020 si è infatti osservato un leggero apprezzamento del franco rispetto all’euro, confermato dalla forza relativa delle azioni svizzere rispetto al resto del mondo.

Un altro elemento di interesse è infatti inerente le potenzialità di diversificazione, che coinvolge le dinamiche dei titoli azionari svizzeri rispetto al resto d’Europa. La correlazione è una misura statistica che indica il legame tra diverse variabili, in questo caso finanziarie, e se si confronta l’andamento dell’indici Msci Euro (titoli principali dell’area euro) rispetto al Msci Switzerland si evidenzia una valore contenuto, pari a 0,80, affiancato da un beta (che più conta) di 0,55. Questo significa che i movimenti dei titoli svizzeri sono poco dipendenti da quanto accade nell’area euro, e ciò può aiutare soprattutto nei contesti di crisi dei listini globali.  E in effetti proprio nel febbraio-marzo del 2020 si è osservata una impennata in termini relativi della forza del listino svizzero rispetto alle azioni dell’area euro, per via di discesa molto più contenute del primo mercato.

Buona parte delle dinamiche di parziale decorrelazione sopra menzionate, rispetto a indici più diversificati, è dovuta alla composizione settoriale del mercato. Sappiamo che le dinamiche di settore portano ogni anno a risultati molto differenti, e il mercato svizzero evidenzia anche in questo caso peculiarità. Guardando all’indice Swiss Large Cap si segnala così un peso prossimo al 39% per le aziende farmaceutiche, seguite dal 27% di beni di largo consumo, 16% di finanziari, 12% di industriali e una minima quota di tecnologici e risorse di base. Già dal fatto che quasi il 40% del mercato è rappresentato da società farmaceutiche (svettano Roche e Novartis) si desume la difensività della scelta, che permette di dormire sonni tranquilli anche in contesti di mercato critici. Il rapporto prezzo/utili del mercato (che identifica lo stato di sottovalutazione o sopravalutazione) si colloca a circa 23, valore neutrale, mentre il dividendo medio annuo dell’indice azionario svizzero è di poco inferiore al 3%. Nonostante il mercato sia molto concentrato su pochi nomi, le metriche rendimento-rischio nel medio periodo restano molto allettanti per gli Etf e i fondi che permettono di agganciarsi a questo tema di investimento. D’altronde l’indice Smi ha offerto nell’ultimo decennio, in euro, circa il 10% all’anno, rispetto al 6% scarso dell’Eurostoxx50. E su venti anni di orizzonte temporale il benchmark elvetico ha reso ogni anno il 6,5%, rispetto al 3% delle azioni dell’area euro.

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