Pro e contro del rischio valutario

Sia in ambito obbligazionario che azionario spesso viene tenuta in particolare considerazione l’esposizione valutaria. Che è rappresentata dal fatto di acquistare strumenti denominati in una valuta differente da quella in cui viene contabilizzato il dossier titoli o il conto corrente; ad esempio, per un investitore che ragiona in euro acquistare un prodotto denominato in dollari Usa comporta l’inserimento nel portafoglio di un fattore di rischio aggiuntivo, rispetto a quello della asset class selezionata. Un investitore che acquisti un prodotto denominato in dollari Usa deve considerare come rischio aggiuntivo il possibile movimento avverso dell’euro rispetto al dollaro Usa, ovvero l’indebolimento del dollaro che è la valuta implicitamente acquistata.

Se è vero che questo è un rischio nel caso più sfortunato, può però anche tramutarsi in un potenziale extra-rendimento se la valuta estera si apprezzerà rispetto all’euro nelle settimane e mesi a venire. Il rischio di cambio può portare in determinati periodi a forti scostamenti di performance, tra quanto realizzato dalla asset class in “valuta locale” ovvero in divisa originaria (ad esempio l’S&P500 considerato in dollari) e quanto realizzato nella valuta di contabilizzazione del portafoglio, nel nostro caso l’euro. Il seguente grafico conferma quanto appena detto, e si riferisce alla dinamica di un Etf denominato in dollari Usa, in quanto legato all’indice S&P500, comparato ad un altro prodotto indicizzato allo stesso indice azionario, ma con immunizzazione del rischio di cambio.

In questo caso si osserva, nel periodo considerato, una netta sovraperformance del prodotto senza rischio di cambio (che permette di replicare in sostanza l’indice azionario senza tener conto della dinamica del dollaro contro l’euro) rispetto all’Etf che ingloba l’esposizione al cambio. In pochi mesi si è concretizzato circa il 10% di differenziale di performance, un valore molto importante in un arco di tempo di soli pochi mesi. D’altronde il cambio è nel frattempo passato da 1,08 dollari per 1 euro a 1,18 dollari, evidenziando un forte deprezzamento. Si ricorda che è corretto parlare di deprezzamento e non di svalutazione. Il primo elemento indica una perdita di valore relativo da differenti divise per via delle dinamiche di mercato, mentre la svalutazione ha a che fare -in un regime di cambi fissi- con la decisione di una banca centrale di muovere i rapporti di conversione tra una valuta ed un’altra (quello che accade ad esempio oggi con il Renmimbi cinese rispetto al dollaro Usa).

Spesso la scelta di acquistare prodotti in valute interessa le obbligazioni, puntando al cosiddetto Carry Trade. Se per un bond tedesco il rendimento a 5 anni fosse pari allo 0,5% annuo (oggi è negativo) e nello stesso momento la curva in dollari evidenziasse un valore pari al 3% annuo, sembrerebbe molto più vantaggioso acquistare bond denominati in dollari. Ma la dinamica del cambio può fare anche qui la differenza, nel bene e nel male. Il dollaro non si dovrà infatti deprezzare rispetto all’euro più del differenziale di performance cumulato, altrimenti risulterebbe più conveniente acquistare il prodotto in euro. I Paesi emergenti in particolare evidenziano rendimenti strutturalmente molto più elevati rispetto al mondo occidentale a causa del merito creditizio inferiore o dei livelli di inflazione più elevati, ma le oscillazioni di tassi di cambio sono enormi, anche dell’ordine del 30% in un solo anno.

L’attuale fase di mercato ad esempio è nettamente favorevole all’euro, in quanto si nota un relativo apprezzamento della divisa europea rispetto a molte valute estere. Meglio un +5% dall’azionario in euro che un +10% dall’azionario Usa affiancato dal 10% di deprezzamento del dollaro: in quest’ultimo caso il guadagno per chi ragiona in euro è infatti prossimo allo zero. I prodotti con hedging valutario (fondi ed Etf) incorporano a loro volta dei costi aggiuntivi, associati proprio alla copertura valutaria. Questi costi sono a loro volta molto variabili nel tempo, e ci sono momenti in cui conviene essere “coperti” dal rischio valutario ed altri in cui il costo può risultare superiore ai benefici ottenuti. La scelta di quali valute estere inserire in portafoglio, attraverso bond o altri strumenti finanziari, è quindi un fattore molto delicato da affrontare con il supporto di un consulente esperto.

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